Smetto quando voglio di Paolo Iacci

Inutile cercare soluzioni facili.

Così come non esistono formule o modelli organizzativi "a pacchetto" pronti all'uso. In un contesto caratterizzato da un'incessante proliferazione di variabili e da una crescente complessità dei processi decisionali, ogni tentativo di costruire strutture universali risulta intrinsecamente fallace. 

In questo scenario aziendale i fenomeni emergenti nel mondo del lavoro rappresentano la punta dell’iceberg di trasformazioni epocali e complesse.

Risorse umane composte (ormai) da “dividui”, con i loro corpi, la loro psiche e le loro capacità cognitive, così come gli oggetti materiali, quali spazi fisici, strumenti di lavoro e dispositivi tecnologici digitali che oggi includono oggetti immateriali, come software, algoritmi e standard tecnici, tutti elementi da considerare indissolubilmente intrecciati, che formano un complesso groviglio che pervade la vita quotidiana delle organizzazioni.

Paolo Iacci, nel suo libro "Smetto quando voglio" edito da Egea, inquadra con estrema precisione il contesto lavorativo in cui sono immerse ed operano le aziende italiane. Lo scenario descritto da Iacci, sebbene esposto in poche pagine (purtroppo!), è di una precisione chirurgica. Il drastico cambiamento e l'accelerazione di una serie di fenomeni, tra cui il nostro "Great Reshuffle" (Grande Rimpasto), causato da quello che l'autore definisce "Great Rethinking" (Grande Ripensamento), stanno segnando e segneranno sempre più la nostra economia, con conseguenze ancora imprevedibili ma facilmente intuibili. Numerosi sono i fenomeni in atto: Quiet Quitting, Quiet Firing, Quiet Hiring, Quiet Promoting, Quiet Thriving. Se i dati riportati sono allarmanti e inquietanti, tali da far rabbrividire qualsiasi imprenditore, manager, lavoratore o cittadino, ancora più numerose sono le domande sollevate da questo preziosissimo saggio. Domande le cui risposte dovrebbero essere di prim'ordine politico (sic!), e naturalmente economico e imprenditoriale (e i corpi intermedi?). 

E dall’altra parte della sponda la nostra impresa, ancora di più oggi, lungi dall'essere un mero oggetto materiale, si configura come un costrutto sociale intrinsecamente complesso. I suoi obiettivi e finalità non esistono in un vuoto asettico, ma sono plasmati e definiti all'interno di un contesto relazionale dinamico. Questo intreccio relazionale non solo modella le mete aziendali, ma ne influenza continuamente l'evoluzione, esponendo l'organizzazione a una rete di interazioni che ne determinano la forma e la sostanza. In tale ottica, la comprensione delle finalità dell'impresa richiede un'analisi profonda delle relazioni sociali che la pervadono e delle dinamiche che ne sostengono l'esistenza e lo sviluppo.

Lo spartiacque del 2020 nel mondo del lavoro è stato dirompente, così come devono essere rilevanti i cambi di paradigma che siamo chiamati ad attuare, a partire dal passaggio dalla centralità delle politiche passive a quella delle politiche attive del lavoro (senza menzionare l'evoluzione necessaria dei rapporti verso il concetto di partecipazione). Lo sviluppo professionale dei collaboratori resta una delle priorità, così come l’instaurazione di un nuovo rapporto con la tecnologia e con l’Intelligenza Artificiale, che oltre ai numerosi vantaggi può svolgere un ruolo importante nel supplire alle carenze demografiche cui andremo drammaticamente incontro.

Altra considerazione da fare: la subordinazione del lavoro umano alla logica dei dati, o la sua eventuale sostituzione da parte delle macchine, non è un destino ineluttabile. La chiave risiede nella capacità delle persone di integrare tali sistemi all'interno di pratiche professionali avanzate, che siano guidate da un pensiero (realmente) autonomo e critico. La fusione tra tecnologia e umanità può trasformare il paradigma lavorativo, evitando l'annichilimento delle competenze umane a favore di una fredda automazione. Solo attraverso un approccio consapevole e strategico, in cui l'analisi dei dati diventa un complemento e non un sostituto dell'intelligenza umana, si potrà mantenere il controllo sul futuro del lavoro, prevenendo la totale deumanizzazione.

È imperativo ripensare radicalmente le concezioni tradizionali di management, abbracciando una visione più dinamica e adattativa, capace di rispondere alle sfide di un ambiente in perpetua trasformazione. Questo richiede una profonda riflessione critica sui paradigmi consolidati e una spinta verso l'innovazione metodologica, che tenga conto delle molteplici dimensioni e delle peculiarità di ogni contesto operativo.

Inutile cercare soluzioni facili. 

Come riporta l'autore, la vera risposta è mettersi in gioco. A questo crocevia dobbiamo giungere agili, pronti, decondizionati e leggeri, (ri)unendo tecnologia e umanesimo. Il vero problema è tornare ad essere all'altezza del compito.

Buona lettura, ne abbiamo veramente bisogno.

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